venerdì 20 marzo 2009

ARCIMATTO FESTOLESE


Ve lo ricordate Socrates? Noi vi diciamo come vive

Continua la nostra rubrica sui campioni dello sport:

Sòcrates Sampaio de Souza Vieira de Oliveira è nato a Belèm il 19 febbraio 1954. Ha giocato nel Botafogo, nel Corinthians (297 partite, 172 reti), nella Fiorentina, nel Flamengo, nel Santos e, 50enne, anche nel Garforth Town, in Gran Bretagna. Regista e trequartista, è stato capitano del Brasile, in cui ha sommato 63 presenze e 25 reti. Ha partecipato ai Mondiali di Spagna 1982 e di Messico 1986. «Le mie vittorie politiche sono infinitamente superiori ai miei successi da professionista. Una partita dura 90 minuti, la vita prosegue, ed è reale». Lo possono ammirare, la barba grigia e l’occhio buono e severo, ogni domenica su Cartao Verde, trasmissione su Tv Cultura che da quindici anni fa opinione, in Brasile. Ha compiuto 55 anni il 19 febbraio, Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, a cui il padre, folgorato dalla lettura della Repubblica di Platone, impose il nome di Sòcrates. Chi è più fortunato, lo può incrociare a Ribeirao Preto da Pinguìm, ormai più un luogo di culto che una birreria che offre - dicono - la spina migliore del Brasile. Le sue idee e i suoi comportamenti hanno lasciato un solco che ha attraversato le generazioni in Brasile, se è vero che qualche mese fa quando uno sponsor locale decise di creare un evento e invitò lui come testimonial, Sòcrates Brasileiro - così indicato per distinguerlo dall’altro filosofo che operò ad Atene - attirò migliaia di persone, giovani e vecchi, impazzite fino a notte per avere solo un suo autografo. E sì che sono passati vent'anni da quando Sòcrates, il grande magro - o magrao - incantava in campo dall'alto dei suoi 191 centimetri, leader del Brasile più bello e meno vincente, quello del 1982, di Zico, Falcao, Junior e soprattutto suo, che di quei fenomeni era il capitano. Si possono leggere i suoi pensieri su Agora, giornale di cui è regolare columnist. Oppure si può incontrare, Sòcrates, impegnato nella sua nuova attività, al cineclub da 800 posti nel centro di Ribeirao, dove ha preso forma e sostanza il progetto Cauim, ideato e realizzato dal cineasta Fernando Kaxassa, un progetto sociale e culturale che ha il cinema come mezzo privilegiato per diffondere cultura e idee. «E' un sogno, Cauim, un processo educativo per chi in altro modo non può andare al cinema: c'è gente che non può pagare 50 Real, mentre qui non c'è biglietteria, lo spazio è pubblico. Poi chi viene, magari lascia un'offerta, chi può farlo».Che non fosse una persona qualsiasi, se ne accorse per primo il padre, quando un giorno lo accompagnò a lezione all'Università, alla Facoltà di medicina dell'Università di San Paolo, la Usp, poi di ritorno a casa passò a vedere alcuni ragazzi che giocavano nel Botafogo di Ribeirao Preto. E lo ammirò in campo, lungo e dinoccolato, e soprattutto vide quanta genta fosse lì, incantata, a guardarlo. «E' più bravo di spalle che di fronte» lo definì, divertito, Pelè, a sottolineare i suoi toques de calcanhar, i colpi di tacco che spiazzavano gli avversari e facevano impazzire la torcida. Laureato in medicina, per tutti "o doutor", non ha esercitato quasi mai nella Clinica di Ribeirao Preto: più che curare il fisico si è dedicato da sempre a curare le menti. «Il calcio per me è come camminare: da solo, svincolato da un contesto sociale, non è nulla. Quando vai a piedi, non fai niente di speciale: se però a piedi vai in Parlamento a far valere le tue idee, cambia tutto. Così il calcio: se diventa un veicolo per educare la gente, allora è un mezzo formidabile». Lui ci provò nel 1982, quando introdusse il regime rivoluzionario della Democracia Corinthiana, nel Corinthians, la squadra della sua vita: una sorta di autogestione, pochi allenamenti e nessun ritiro, nessun divieto, i giocatori coinvolti nell'organizzazuioine e nella gestione del club, «se sono responsabili di se stessi, rendono di più» diceva. Vinse lo scudetto. O come quando più avanti nel Cabo Frio, di cui fu allenatore, preparatore atletico e soprattutto psicologo, prima dell'allenamento chiedeva ai giocatori di discutere di politica e attualità, invitandoli ad attaccare dei ritagli di un giornale su un grande cartellone negli spogliatoi. Un rivoluzionario autentico, in un Brasile - e in un calcio - fortemente reazionario. Ora ha proposto di ridurre il numero dei giocatori da undici a nove: «Una volta, ogni giocatore correva in media 4 chilometri a partita, ora ne fa dieci: così non ci sono più spazi per la creatività. Meno giocatori, riporterebbero più spazio alla fantasia». Come la sua, soprattutto, lui che in Italia con la Fiorentina soffrì il nostro calcio molto poco bailado e già aggressivo: e sì che lui dal Brasile era fuggito per la delusione di un'elezione politica andata male, del suo candidato Dante de Oliveira, mentre ora con più distacco si limita a simpatizzare per il Partido dos Trabalhadores di Lula. «Io cercavo la felicità, non i soldi» spiega, così dopo un anno difficile a Firenze rinunciò a un milione e mezzo di dollari e tornò a casa, per giocare con Zico nel Flamengo. Fuma «per pensare meglio», parla spagnolo, francese e italiano ma non inglese perché è la lingua dell'imperialismo, adora la birra. Socrates ha avuto tre mogli - l'ultima si chiama Simone, ha trent'anni - e sei figli: Rodrigo, Gustavo, Marcelo, Eduardo, Socrates Junior detto Juninho che ha 18 anni e gioca a pallone a San Paolo, e l'ultimo, due anni appena, che ha chiamato Fidel. L'omaggio alle sue idee di sempre, l'ultimo suo colpo di tacco al mondo. Per ora.


a cura di MARES..CUCCI ( fonte corrsport)


1Puntata :VENDRAME

2 Puntata: ZIGONI

3 Puntata: FLACHI

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